Ragù di morte: Je ne suis pas Charlie

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charlie hebdoChissà se basterebbe la candeggina o il lavaggio a 90 gradi per togliere le macchie di sugo della lasagna che campeggia nella vignetta di Charlie Hebdo. Il sospetto è che la tovaglia resterà macchiata per sempre e che quel rosso non andrà più via.

E’ una lasagna amara, con un ragù fatto dei morti del terremoto, le cui membra fanno capolino tra strati di macerie.

E’ così che Charlie Hebdo decide di commentare, in ultima pagina, il terremoto in Italia. Una vignetta che non pubblico qui sul mio blog, condividendo pienamente la scelta simbolica del quotidiano Avvenire di non dare ulteriore visibilità a questa offesa.

A qualcuno potrebbe venire il sospetto che, in fondo, si tratti di una forma di denuncia sociale, di giornalismo provocatorio che punta coraggiosamente alla verità, e che dunque la macabra metafora della lasagna sia un modo per sottolineare il fatto che, forse, basterebbe rispettare le norme antisismiche per diminuire la portata devastante di queste catastrofi. Ecco, si, questa potrebbe essere una lettura interessante e la vignetta, pur nel suo cattivo gusto, potrebbe aver fatto centro. Peccato che il tema della sciagura in Italia venga affrontato anche in un colonnino che contiene una serie di battute, tra cui quella che dà il colpo di grazia e toglie ogni dubbio: «Circa 300 morti in un terremoto in Italia. Ancora non si sa se il sisma abbia gridato ‘Allah akbar’ prima di tremare».

E dopo tutto questo, io anche stavolta non sono Charlie Hebdo. Non lo sono stata quando le vignette attaccavano i musulmani, non lo sono stata quando le vignette attaccavano la religione cattolica, il dio in cui credo e in generale il tema del sacro. Non lo sono oggi, quando il cattivo gusto, la mancanza di sensibilità e di qualunque deontologia deridono, ad un tempo, la vita e la morte, la religione, il sacro, il dolore.

Il terremoto, con i morti e la devastazione che si è portato dietro, è una ferita aperta, che mi chiedo se mai si chiuderà. Questa vignetta è del tutto fuori luogo. Cosa significa? Che gli Italiani se la sono cercata? Che dunque ben gli sta? E allora che diciamo? Che Charlie Hebdo la strage (quella strage per cui noi, in Italia, abbiamo speso lacrime e parole di commozione e scritto migliaia di hashtag #jesuischarlie) se l’è cercata e chiamata? Sono vere entrambe le cose, per certi aspetti. Ma come le provocazioni (gravissime, a mio avviso) di Charlie Hebdo su Maometto (e in generale sul sacro e sulla religione) non giustificano violenza e barbarie, così gli errori degli italiani e le loro colpe (che la magistratura dovrà accertare) non possono essere il pretesto per ironizzare su tanti morti.

Lo stile di Charlie Hebdo (così perverso nel riuscire a far sempre parlare di sé, fagocitandoci tutti in commenti e indignazioni che non fanno altro che aumentare la notorietà di questo “giornale”) è figlio di un pensiero che cancella il senso del “sacro”, cancella ogni rispetto per la vita e per la morte, e le vignette su Maometto, sulla chiesa Cattolica, sui morti del terremoto, sugli stereotipi italiani (già offensivi di per sé e, per di più, usati questa volta in modo ancora più raccapricciante e ingiustificabile) sono solo la conseguenza di quell’unico pensiero in cui nulla più conta, tranne una fantomatica libertà che, invece di aprire spazi, uccide, distrugge, soffoca.

Non è vero che la satira può arrivare ovunque. C’è un limite a tutto. E Charlie Hebdo non ha umiltà, non ha buon senso, non ha limite. Non è giornalismo. Qualcuno fermi Charlie. Je ne suis pas Charlie Hebdo. Non lo ero ieri, non lo sono oggi.